PORDENONE Il massacro di viale Marconi, ha ucciso per l’onore della figliaDue figli senza essere sposata, niente dote, senza reddito». Così Wu ha perso la testadi Ilaria Purassanta13 ottobre 2015
PORDENONE. È arrivato in treno da Milano per sistemare le cose una volta per tutte. In un modo o nell’altro. Nello zainetto nero, Yongxin Wu, 58 anni, cittadino cinese, addetto di un supermercato a Milano, si è portato un’accetta.
Aveva inghiottito troppe volte il risentimento accumulato nei confronti dei parenti acquisiti della figlia Tingxiang, 26 anni. Dissidi familiari legati anche a questioni economiche, trascinati nel tempo, che hanno portato Wu al punto del non ritorno.
È sceso in stazione a Pordenone, poco dopo le 20 di lunedì e si è incamminato, con lo zainetto in spalla, verso il bar Commercio in via Santa Caterina.
Qui ha affrontato il convivente della figlia, Junliang, titolare dell’esercizio pubblico. Nel locale c’erano anche Tingxiang e i due figli piccoli, avuti con Junliang. La preoccupazione di Wu era che la figlia non avesse alcuna garanzia economica per il futuro: senza reddito, senza un legame sancito dal matrimonio. Il padre avrebbe voluto che alla figlia fosse intestato metà del bar Commercio, per assicurarle una stabilità finanziaria. Una sorta di “dote”.
È tornato alla carica sul punto. Senza risultato. Allora ha minacciato di cercare soddisfazione in altro modo. Ha annunciato che sarebbe andato all’appartamento in viale Marconi, chiedendo le chiavi. Gli è stato risposto di suonare alla porta. Pochi minuti dopo Wu era al civico 19, sotto il condominio.
Ha suonato il campanello, Haiyan Wang, 22 anni, sorella di Junliang, gli ha aperto, mentre la madre Shuie Yang era in bagno, a farsi la doccia. La giovane lo ha accolto in cucina. Sulla tavola, non ancora apparecchiata, sotto una campana in rete, quattro portate di pietanze tipiche cinesi, pronte per la cena. Fra i due è nato un alterco. Wu ha apostrofato la giovane duramente, lei lo ha insultato.
A quel punto lui l’ha schiaffeggiata e la ragazza, per tutta risposta, ha preso un coltello e l’ha ferito a una mano. Il 58enne non ci ha visto più. Ha afferrato dal pensile una mannaia da macellaio con la lama lunga venti centimetri e ha colpito la ragazza con più fendenti, concentrati sul collo.
Poi si è diretto verso il bagno. Con la mannaia ha infierito più volte sulla consuocera, dalle gambe alla schiena, dandole il colpo di grazia con una violenza brutale al collo, quasi decapitandola, nel corridoio dove si era trascinata, lasciando dietro di sé una scia di sangue.
È tornato in cucina per finire la ragazza, che ancora rantolava. Wu sostiene di aver utilizzato anche l’accetta e di averla posata poi sul frigorifero. Sul tavolo della cucina ha abbandonato, invece, la mannaia. I volti delle due donne sono stati risparmiati dalla furia omicida.
Dopo la mattanza, imbrattato di sangue, è sceso in strada. Erano passati pochi minuti dopo le 21 quando ha telefonato al 112, ma non conoscendo una parola di italiano, ha farfugliato frasi incomprensibili, mentre il suo cellulare non prendeva. La linea è caduta due volte, è stato richiamato dall’operatore. Ha proferito una parola che suonava «ammazzato», poi ha ceduto il cellulare a un passante per chiedergli di spiegare alle forze dell’ordine la situazione.
Alla figlia, accorsa con i nipotini, e il convivente ha detto: «Non salire, le ho ammazzate. Non portare su i bambini». Junlinag l’ha sentito: e i due sono venuti alle mani. Tanto che i passanti segnaleranno una lite in strada fra cinesi. Sul posto accorre, per primo, il comandante della squadra volante cittadina Pier Giovanni Rodriquez.
Lo affianca il dirigente della Squadra mobile Massimo Olivotto. Si moltiplicano le pattuglie dei carabinieri e della polizia. I due litiganti vengono separati. Ben presto gli investigatori capiscono che la lite in strada è stata la conseguenza di un efferato duplice omicidio. Salgono al primo piano del civico 19. Dietro quella porta, l’orrore.
Wu si lascia ammanettare docilmente, l’espressione imperscrutabile, distante anni luce: come se, dopo aver esaurito il suo compito, ora volesse solo consegnarsi alla giustizia. Viene portato in questura, poi in carcere. Per lui sarà la notte più lunga.
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