这下面是文中提到的MARCO HONG的采访稿子,全文如下:La denuncia di un 16enne cinese: “Prato è la mia città ma c’è troppo razzismo. E viviamo con la paura di essere rapinati”
Marco Hong, giovane cinese nato e cresciuto in Italia, denuncia la situazione di violenza e razzismo ai danni dei suoi connazionali che si sta verificando in modo sempre più consistente negli ultimi tempi a Prato. Lo fa nella rubrica settimanale Gente di Prato, curata da Lucia Pecorario e pubblicata sul numero Toscana Oggi sabato in edicola. Di seguito pubblichiamo integralmente l’articolo. Marco Hong ha 16 anni e va a scuola al Dagomari. Ex giocatore di calcio nel Poggio a Caiano, è uno di quelli che definiamo “cinesi di seconda generazione”. È nato a Prato, cresciuto a Prato, parla italiano perfettamente, anzi: con perfetto accento pratese. Quando andiamo a conoscerlo, un pomeriggio qualunque di metà settimana, lo troviamo deluso, e un po’ impaurito. “Ultimamente mi trovo in difficoltà a stare a Prato”, ci spiega infatti con una punta amara nelle parole. “Ho ricevuto molte offese, assistito a diversi episodi di natura razziale accaduti ad altri connazionali ma che hanno offeso anche me, nel profondo. Sono cose che fanno male”, dice. In più, da ragazzino qual è nonostante dimostri forse più dell’età che ha, è rimasto impressionato dall’escalation di violenza ai danni dei suoi connazionali registrata in città negli ultimi tempi. “Ci parlano continuamente di rapine e aggressioni nei confronti di cittadini cinesi”, racconta; “una cosa che mi fa temere anche per i miei genitori, per mia madre soprattutto, che adesso non esce mai da sola. Eppure, Prato è la città in cui sono cresciuto, in cui comunque mi sento a mio agio: non è facile vederla così”. Quando avrà finito le superiori, Marco potrebbe anche pensare di venire via da qui, da Prato. “Dover lasciare Prato – spiega – non è facile. Ci sono cresciuto, la conosco bene, ho qui tutti gli amici. Però per studiare voglio cambiare paese, andar fuori, imparare bene l’inglese. Vorrei studiare Economia, e potrei farlo magari in America, o in Australia”. Il suo, dunque, a tutti gli effetti, può essere considerato un altro cervello in fuga. In fuga, come la possibilità – se il clima non cambia e se quei giovani su cui scommettiamo non si sentono pronti ad affrontare la situazione che si trovano intorno – di avere finalmente una integrazione proficua. Marco su questo discorso è sensibile: durante l’inverno ha seguito numerosi incontri allo Spazio Compost (un altro laboratorio di integrazione, di cui abbiamo parlato in questa rubrica a gennaio, nrd), partecipando ai confronti tra italiani e stranieri. Eppure, nota lui, sono ancora troppo pochi i giovani che vi prendono parte: quei giovani da cui dovrebbe partire il cambiamento. “Io personalmente dare una mano per cambiare questa situazione”, dice infatti. Lui, insieme alla sua classe, ha partecipato a un progetto dedicato all’imprenditoria giovanile, e promosso in Toscana dall’associazione Artes. Hanno elaborato un progetto di aste on line al ribasso per l’e commerce. Una cosa in Italia forse futuribile, ma visto come corre la tecnologia, nemmeno troppo. Intanto, lui al suo futuro ci pensa. Magari con un po’ di incertezza, come capita a tanti adolescenti di oggi. “Da grande non so ancora che farò. Forse ritornerò a Prato, ho la casa qui; o forse tornerò in Cina, perché penso che oggi offra davvero grandi opportunità”.
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