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LA STAMPA报12月3、4日报道:PRATO12.1惨案发生后距离几百米远的其他华人工厂仍然在连夜工作。但是由于这段时间太多的检查,企业里只剩下老板一家人了。进入被检查的华人企业里,场景仍然相似到处是布料垃圾和木粉板隔间的一个个小房间作为睡觉的地方,和违规搭建的厨房以及煤气罐。有被查到工人的企业基本只有一两个工人有低于300块钱的签工单,而且房租合同也存在漏税现象,有些连合同都没有,需寻找房东,有些很离奇的廉价房租,房租合同上写的是300欧元一个月,可能么?有些工厂还有小孩在一起,生活并在垃圾和有毒的物质中成长。有些被查的工厂因为连续的严查等开门让警察进来时,工人们早就不见了,只剩下老板了。表面看上去工厂没人,通过懂方言的翻译了解到,这里曾有其他人,因为在被通知要查封这里让他们把私人物品拿走时,老板个他老婆说也把其他人的东西带走。由于华人都是连夜工作的,给检查带来了困难。并且由于他们知道最近查的严,可能的话都去比较安全的地方睡觉了。当问到,为什么除了违法现象还生活在脏乱的环境里时,得到的答复是:我们整天要工作,没时间清理。 、、、、、、--意大利华人街网站alexzou编译
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CRONACHE
04/12/2013 - REPORTAGE
La finta fuga dei lavoratori in nero
per evitare i controlli della polizia
Troppi blitz in queste ore, nelle aziende rimangono solo i titolari
[img=426,0]http://www.lastampa.it/rf/image_lowres/Pub/p3/2013/12/04/Italia/Foto/RitagliWeb/77HSGJZ65580-U10201451776692XEC-U10201455400019SOE-384x230@ LaStampa-NAZIONALE-kuiC-U10201455400019SOE-426x240@LaStampa.it.jpg[/img] Le forze di polizia impegnate nei controlli spiegano ”Potremmo entrare in
una qualsiasi di queste porte e la scena sarebbe identica”
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MARIA CORBI
INVIATA A PRATO
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Siamo a poche centinaia di metri dal rogo in cui sono morte sette persone, alle spalle del Macrolotto, quartiere San Giorgio. Il commissario Flora Leoni della polizia municipale bussa insieme alla sua squadra. Quando la porta si apre ecco le macchine da cucire, il materasso per dormire accanto al posto di lavoro, bombole del gas e un soppalco di cartongesso che lascia intuire cosa contiene. Una scena che si ripete, sempre uguale. «Potremmo entrare in una qualsiasi di queste porte», mi dice il vigile indicando altri capannoni «e la scena sarebbe identica». Il proprietario dell’azienda e la moglie si sono appena svegliati, prendono tempo, ma l’interprete fa capire loro che non possono resistere. Gli altri sono scappati. Stanotte i controlli hanno verificato che le macchine da cucire lavoravano senza sosta e i cumuli di maglie rigorosamente «made in Italy» buttate a terra lo dimostrano, ma adesso sembra non esserci nessuno. «Questi giorni dopo la tragedia stanno più attenti, sanno che i controlli sono stati intensificati e quando possono vanno a dormire in posti sicuri», spiega un vigile.
I cinesi lavorano di notte quando i controlli sono più difficili. Dietro il primo muro di cartongesso ecco la cucina da cui si accede a un bagno. I fili elettrici sono scoperti, nessuna norma di sicurezza e igienica, cibo marcio, scarpe sparse, carne di maiale appesa alle finestre, la fossa biologica che emana fetore. Scatta il sequestro preventivo. «Questi locali sono sede di impresa e quindi non è regolare abitarci». Sulla scala ripida e malferma ci sono gomitoli di polvere e sporcizia sedimentata ovunque. In cima un lungo corridoio ai cui lati si aprono stanze-loculo. In quella dei due cinesi titolari dell’azienda ci sono anche segni della presenza di bambini. Sul permesso di soggiorno Zhou ha segnato due figlie: Cristina e Luna. «Sono in Cina», dice. Ma i poliziotti sanno che probabilmente non è così. Hanno portato un interprete che conosce anche il dialetto della provincia orientale da cui vengono questi cinesi. E capisce che qui vi era altra gente perché moglie e marito dicono tra loro di portare via «anche la roba degli altri». Quando chiedi loro perché vivono non solo nell’illegalità ma anche in una situazione di degrado assoluto rispondono quasi stupiti: «Lavoriamo tutto il giorno non abbiamo tempo di pulire».
Non hanno il contratto di affitto e si cerca di corsa il proprietario. È italiano, abita poco distante da qui. A.P. arriva di corsa, con la tuta da lavoro, fa l’elettricista, la faccia tesa. «Lei era a conoscenza che qui dentro è stata costruita una struttura abusiva, un soppalco di legno con mura di laminato truciolare?». «No, cioè...». L’uomo è combattuto, vede guai vicini ma non ce la fa a dire una bugia intera: «Me ne sono accorto quando sono venuto a riscuotere l’affitto l’ultima volta e ieri, dopo l’ incendio al lotto 82 ho chiesto loro di eliminare il dormitorio, ma non mi hanno ascoltato». Il vigile verbalizza senza infierire E senza stupirsi visto che la stessa scena si ripete ogni volta. Arriva anche la moglie che chiede «perché non siete andati da quell’altro capannone dove c’è un gran via vai di cinesi?». Il commissario Flora smette di scrivere il sequestro preventivo e con grande calma le spiega che i controlli li fanno continuamente e che forse sarebbe bene che i cittadini di Prato li aiutassero.
«Voglio dire cara signora che se i proprietari facessero attenzione verificando che l’utilizzo dei loro immobili da parte dei locatori sia corretto invece che chiudere gli occhi le cose sarebbero più facili». La donna se ne va ringraziando e con un «certo, certo» che mescola dispiacere, senso di colpa e preoccupazione. Stessi sentimenti che appaiono sul volto del marito. «Sì, sono consapevole che se non smettiamo di affittare a cinesi che non rispettano le regole Prato non potrà vincere la sua battaglia». Ma lo dice con il tono di chi già è stato vinto, di chi affitta ai cinesi per sbarcare il lunario, perché tanto tutti fanno così, perché questo è il sistema e non è certo chiudendo il suo capannone che si potrà risolvere il problema. «Poi questi due sono bravi ragazzi, mai un problema», dice A.P. cercando una giustificazione. «Lavorano sempre e non mi hanno dato mai un problema».
Il contratto di affitto riporta una cifra modesta: poco più di 300 euro al mese. Possibile? Alla vigilessa «pare molto strano», ma qui l’evasione fiscale sembra il minore dei problemi. Ci sono due bombole del gas stivate sotto una macchina da cucire, gli estintori non sono in regola, nessuna uscita di sicurezza, impianti elettrici fai da te senza salva vita. Qui una tragedia sarebbe potuta succedere in ogni momento. «Ma non è successa perché adesso dovremmo preoccuparci?», chiede Zhou che aiuta la moglie e gli altri cinesi a fare i pacchi. Tutto buttato in sacchi della spazzatura. Stasera questo capannone avrà i sigilli e loro dovranno dormire da un’altra parte. Per ricominciare a lavorare con lo stesso sistema il giorno dopo da un’altra parte complice qualche proprietario italiano che non vede l’ora di affittargli una rimessa, un garage, un locale. «Pagano in contanti e puntuali», spiega un vigile che ogni giorno, da anni, vede la stessa realtà senza che cambi mai nulla.
CRONACHE
03/12/2013 - REPORTAGE
Le aziende lager non si fermano:
tutti al lavoro nonostante la strage
Gli ultimi italiani del Macrolotto
di Prato: “Competere con loro
è impossibile”
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MARIA CORBI
INVIATA A PRATO
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+ Letti come loculi e colonie di topi nell’inferno dei lavoratori-schiavi
La porta che si apre su un mondo parallelo senza alcuna regola, a poche ore dalla tragedia del Macrolotto, a qualche centinaia di metri, via delle Fonti, dietro la questura. La polizia municipale entra di mattina presto in un capannone ed ecco ancora schiavitù e condizioni di vita e di lavoro medievali. Ci sono anche bambini piccoli e mamme che pur di lavorare per pochi euro accettano di farli crescere tra sporcizia, degrado e sostanze tossiche. Undici cittadini cinesi di cui due clandestini. 13 loculi di cartongesso costruiti su un soppalco, una cucina di fortuna con bombole a gas. Solo due buste paga al si sotto dei 300 euro e 62 macchine da cucire. Scattano il sequestro penale preventivo e quello amministrativo con la titolare cinese già uccel di bosco al momento del controllo, denunciata per reati di favoreggiamento e impiego dell’immigrazione clandestina nonché per abuso edilizio insieme al proprietario dell’immobile, italiano. Un controllo il giorno dopo la strage annunciata che nulla cambia nella quotidianità di una città Prato che è stata conquistata 20 anni fa senza che nessuno la aiutasse ad alzare barricate. Sorride amaro Roberto Petracchi che ha l’azienda davanti al capannone bruciato. «In questa strada siamo rimasti in tre italiani e uno sta facendo il trasloco in questo momento». Una porta aperta con un signore che sbraita, caccia i giornalisti, insulta, mentre svuota di tutto quella che fino ad oggi è stata la sua ragione di vita. «È nervoso, dovete capirlo, siamo espropriati della nostra vita senza un aiuto», spiega Petracchi che lavora la mano. «Io resisto perchè nel mio settore i cinesi non ci sono, troppo tecnico, non conoscono il lavoro. Loro hanno monopolizzato il settore della confezione». Petracchi racconta un mondo in cui ci sono due modi di condurre l’azienda: «quello degli italiani legale e quello dei cinesi illegale». «Come possiamo competere? Stanotte con i morti ancora qui fuori alla mia azienda c’era un camion straniero venuto a prelevare merce dai pronto moda qui intorno, a pochi metri dal rogo. I cinesi non si fermano, lavorano di notte e durante le feste per pochi spiccioli. Come facciamo a competere?». E in questo enorme far west orientale che occupa le zone industrali di Prato nessuno ieri ha pensato di fermarsi. Aziende aperte, compratori in fila per stipare nei camion diretti in Italia ma anche all’estero, verso Spagna, Portogallo, Olanda abiti a prezzi stracciati da vendere sulle bancarelle e nei negozi delle vie affollate del centro città. Solo in Thailandia si trovano prezzi così bassi. Il blitz della polizia municipale di ieri mattina rimane sospeso nella terra di nessuno. L’azienda chiusa riaprirà in poche ore da un’altra parte. Una rincorsa impossibile. Oggi, dopo il rogo del lotto 82 si ascoltano storie drammatiche. Raccontano di quell’imprenditore che dopo essere stato costretto a chiudere l’azienda è andato a lavorare per il «nemico», in una tessitura cinese in nero. E quando si è sentito male, un infarto, lo hanno abbandonato sulla strada fuori del capannone. Raccontano di quella donna trovata cadavere per caso, durante gli scavi di un contadino in un pezzo di terra vicino a Iolo, una delle frazioni di Prato colonizzata dalle imprese cinesi. Tanti clandestini, nessun censimento. Facile disfarsi dei morti. «Ci sono tante storie, troppe, tutte negative», spiega Massimilano Pratesi che guida un gruppo che si occupa di nobilitazione dei tessuti, dalla tintoria al finissaggio. «Fino a cinque anni fa questo era un settore che non interessava ai cinesi, troppi investimenti da fare. Ma adesso iniziano a comprare aziende e a gestirle al solito modo loro». Che significa operai-schiavi, evasione fiscale, nessun rispetto delle regole. «Le faccio un esempio, noi siamo obbligati ad avere una persona con la patente specifica sempre presente quando sono accesi gli impianti a vapore. I cinesi ne assumono una part time e fanno lavorare l’impianto 24 ore. Secondo lei?». Sono tante le domande che non trovano una risposta logica in questo viaggio tra le imprese di Prato a poche ore dalla tragedia che ha illuminato una realtà quotidiana. E non è che non si combatta, come spiega l’assessore alla sicurezza Aldo Milone, detto «lo sceriffo». In quattro anni 1400 controlli e 600 sequestri con 1200 aziende trovate irregolari. Gli incassi derivanti dai sequestri di macchinari superano 1,5 milioni di euro rispetto ai 220mila euro complessivi dei 20 anni precedenti.«Ma non basta e il governo ci deve aiutare, dobbiamo avere più organico per la polizia municipale, la polizia di stato, i carabinieri, la Finanza, l’ispettorato del lavoro. Solo così potremmo fare controlli quotidiani. Ma ci vuole, ripeto, la volontà politica». Mentre Milone parla davanti al capannone andato in fumo, dietro di lui sfrecciano auto di grossa cilindrata con a bordo cinesi. Auto in leasing perché i cinesi non si intestano nulla. «In questo modo non hanno nulla da perdere», dice un piccolo imprenditore tessile che dice di sentirsi «vinto». Le parole gli escono lente e mare: «Ma lei sa che a me un fido in banca non me lo danno mentre a un cinese le banche fanno tappeti rossi a fronte di garanzie ufficiali ridicole, come redditi al di sotto della soglia minima? Le banche sanno che i cinesi sono pieni di contanti. Pensi che un mio amico ha avuto una sorta di buonuscita per andarsene dal capannone pagata in sacchi della spazzatura e biglietti da venti euro».
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